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 Provo per l’ultima volta a  cercare nello specchietto retrovisore la fisionomia di Capitol Reef, imponente  e affascinante con i colori del primo mattino. Intanto l’Hwy Utah 24 scivola  via con i suoi tornanti morbidi tra le colline del National Park; viaggiare in  questa parte di America fa riconciliare con il gusto di guidare. Provo a vedere  se sulla mia sinistra riesco a scorgere le bianche guglie della Cathedral  Valley, ma la strada corre leggera tra le badlands creando una cortina  naturale. Peccato, vedere quelle alte vele granitiche dovrebbe essere assai  emozionante. Bene, un’altra cosa da aggiungere in un ipotetico viaggio futuro;  per quanto si possa programmare bene un itinerario, nel southwest degli Usa  sono talmente tante le location che ci vorrebbe un mese per esplorarne solo le  linee essenziali. Comunque, se devo essere sincero, sono contento di come sta  andando il viaggio; le tappe fondamentali sono state fatte, ma soprattutto sono  andate oltre le più rosee aspettative in termini di emozioni. Perché quando  buttavo giù i waypoint, tranquillo in poltrona, tendevo a riempire ogni minuto  libero della giornata, sempre per quella frenesia cronica di temere di non  vedere abbastanza. Poi quando si arriva sul campo ci si accorge di come mille  imprevisti, la voglia di restare in un luogo un’ora in più, il meteo o altri  mille fattori possano far slittare le varie tappe con conseguente annullamento  di qualche meta; sempre che non si trovi la ricetta per allungare le giornate.  Oggi ad esempio ho messo in mattinata una sosta a Factory Butte, ma  sinceramente non so dove sia di preciso. Ho visto su un libro questo bellissimo  sperone di roccia, molto particolare nella sua forma; sono quei piccoli pallini  che vengono fuori quando si tracciano le rotte, e visto che è in zona perché  non cercarlo? Il programma di Google Earth mi segnala che Factory si trova  dalle parti di Caineville sempre lungo la Highway 24; troppo semplice, ma dove?  Giusto il tempo di dire che forse l’ho già passato, quando una piccola stradina  sulla sinistra apre la vista a Factory Butte. E’ come nella foto, ma l’atmosfera  che trasuda da queste badlands grigie – blu rende tutto magico. Ci fermiamo in  una piccola piazzola lungo questa stradina sterrata che dovrebbe portare alla  base del monolite; credo che tutte le sue foto provengano da questa posizione.  Ovviamente ci siamo solo noi, il che mi fa pensare che o pochi conoscono queste  perle del southwest, oppure sono un invasato e finche non sbircio dietro  l’ultimo sasso non riparto per l’Italia. La mia ragazza penso propenda per la  seconda opzione. Comunque Factory Butte merita assolutamente una sosta, in  fondo è ben visibile dalla Hwy 24 e non necessita escursioni particolari. O  meglio, ci si potrebbe lanciare in un off-road fino alla sua base, ma  rischierei l’ammutinamento. La sua fisionomia è realmente particolare perché assomiglia  ad una fabbrica di forma piramidale; sono sempre più convinto che la natura qua  si sia davvero sbizzarrita nel creare continuamente forme nuove e particolari.  Il silenzio è quasi spettrale, se si esclude qualche piccolo soffio di sabbia  che ci pizzica le gambe. Ci godiamo qualche minuto di doverosa e meritata  solitudine e poi si riparte; in fondo obiettivo primario della mattinata è Goblin  Valley State Park.  Pochi minuti e doppiamo la cittadina di Hanksville, piccolo  crocevia che smista il traffico tra Moab a nord e il Lake Powell a sud. La  strada ora corre dritta e con la visuale libera; pochi km e ci fermiamo in un  bellissimo e anche affollato vistapoint. Sullo sfondo, in lontananza si può  ammirare Factory Butte che si erge in mezzo ad altre maestose formazioni  rocciose. Il paesaggio è marziano; immense distese di terra rossa con qualche  monolite che isolato sembra forzi la crosta terrestre per emergere; realmente  suggestivo. Non manca molto alla deviazione che ci porterà allo State Park;  infatti ecco l’indicazione che segnalato il parco. E’ quasi impossibile  incontrare difficoltà nel raggiungere i maggiori parchi negli Stati Uniti. Pochi  minuti e arriviamo alla stazione del ranger; memore dei consigli di Daniele  chiedo qualche informazione riguardo a degli slot canyon che si trovano in  zona. Il più famoso, accessibile e quanto pare anche il più bello è il Wild  Horse Canyon. Un inserviente della stazione del parco mi invita gentilmente nel  suo ufficio e mi illustra, grazie alla sua macchina digitale, le foto della  location; molto belle, sembra una piccola Antelope Canyon meno colorata, ma molto  più stretta. Ci troviamo nella zona di San Rafael’s Well e se non erro Carlo  tempo fa mi disse che è una porzione di Utah estremamente dura come clima e  paesaggio, ma soprattutto molto “ricca” di rettili. Non oso pensare di portare  la Babi a mezzogiorno in uno slot canyon in pieno deserto con troppe bisce  intorno. Sarà per la prossima volta, in fondo non era in programma; il mio  dramma è che questi viaggi gettano le basi per altre visite e così via.  Proseguiamo verso il parcheggio della Goblin Valley, anche se ancora non si  vede nulla. Pochi passi sopra la collina del parking e miraggio, si apre una  vallata cosparsa di piccole formazioni rocciose simili ad una popolazione di  goblin o gnomi. Ci lasciamo scivolare lungo la parete friabile fino ad entrare  nella piana dove davvero sembra di essere in mezzo a tanti folletti  pietrificati. Sono ovunque e solo la fantasia può porre limiti agli occhi e  orecchie che si vedono disegnate sulle rocce. Anche in questo parco siamo soli,  nessuno che provi ad uscire dai tragitti tradizionali impostati da tutte le  guide turistiche; eppure è facilissimo da raggiungere questo parco. Il mio  consiglio è sempre lo stesso: uscire dalle highway, perché l’America vera vive  nelle backroads, nei piccoli paesi fantasma, nelle praterie delle riserve  indiane; purtroppo mi piange il cuore quando sento dire che una persona è  andata in viaggio negli Usa e ha visitato solo metropoli, o ancor peggio si è  fermato ai vistapoint dei parchi.  Ma sento che mi sta venendo su la vena  polemica, meglio fermarsi; per fortuna sono qua, attorniato da questo piccolo  mondo magico di goblin, alla ricerca di qualche spot particolare. La vallata  non è immensa e si visita tranquillamente in un oretta; oltretutto non  necessita di particolari doti atletiche visto che è tutto in piano, temperature  permettendo; ma credo che il momento migliore possa essere con le luci della  sera, quando i nanetti di pietra cercano idealmente di separarsi dalle loro  ombre. Adesso invece il sole picchia forte e senza adeguata copertura si  rischia di crogiolarsi per bene; i colori sono rosso pallidi e le zone in ombra  sono davvero poche. Il parco consta idealmente di tre vallate, tutte da vedere  perché ognuna ha le sue peculiarità; in fondo è una passeggiata che zigzaga tra  piccoli archi e pinnacoli; sembra più un parco giochi che una riserva naturale,  ma il caldo comincia davvero a piegare le gambe. Meglio rimettersi in marcia,  oggi concludo la tappa con la cittadina di Moab. Là le possibilità di  escursioni sono pressoché infinite: i parchi nazionali di Arches e Canyonlands,  il parco statale di Dead Horse Point; oltre alle mille escursioni da Fisher  Towers o alla Castle Valley, da Delicate Arch allo Shafer Trail, da Negro Bill  Canyon agli Overlook sul Green River. L’unica cosa che manca ogni volta che raggiungo Moab è il tempo, guarda caso. Ma intanto la malinconia comincia ad affiorare  sempre più; aveva dato i primi sussulti dopo Page, ma ora so che toccando Moab  faccio sono al giro di boa del viaggio e inizia l’inesorabile conto alla  rovescia per l’addio. E la malinconia si fa sempre più pesante. 
          
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