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Gunnuhver, Iceland
Iceland Iceland

Reykjanes and
blue lagoon

 
 
 
 

"Alla natura si comanda solo ubbidendole"

Alphonse Allais
   
August 2010

un oasi in mezzo all'inferno

soundtrack: King of pain, Sting - 1983

Chapter

Ho appena aperto gli occhi, è ancora mattina presto ma la luce inonda l’elegante camera dell’hotel Budir. Certo che dormire in simili locations è tutto un altro riposare; pochissime stanze con luoghi comuni che mi ricordano i lodge solitari della Namibia. Il pianerottolo ha due grandi librerie colme di vecchie edizioni National Geographic, monografie su ogni località del pianeta che fanno venire la voglia di alloggiare qui per un mese. La sala colazione è avvolta dal color panna delle tende, mentre una leggera melodia folk americana rende il tutto molto country. E’ ora di partire, sia dalla penisola di Snaefellsnes che dall’Islanda. La strada di ritorno chissà perché è sempre così malinconica, tante volte sento amici che durante le loro vacanze non disprezzano il rientro a casa; per me è sempre un trauma. L’uomo è fatto per viaggiare, per conoscere il pianeta dove dovrà sostare per questa vita. I paesaggi che continuano a susseguirsi sono un mix di magico e di mistico, con una foschia che avvolge e scopre in modo repentino. Immensi pascoli fanno da cornice a campi con i caratteristici coni vulcanici; l’Islanda è il luogo dove mare, terra e fuoco si fondono in modo perfetto. Il grande cratere di Eldborg, più simile ad un accesso verso le viscere della Terra, segna la fine della penisola. Borgarnes è già in vista e si ricomincia a vedere un po’ di movimento sulle strade. Costeggiamo un paio di fiordi con la nebbia del mattino, paesaggi che sanno di celtico con le loro leggende e saghe secolari. Akranes, siamo ormai arrivati a Reykjavik. Un grande tunnel sottomarino ci permetterà di tagliare velocemente il fiordo Hvalfjord; l’ingresso sembra un portale verso l’inferno, perché si vede nitidamente che, come un serpente silente, la strada s’immerge nelle fredde acque. Pensare di guidare sotto il livello del mare è un’esperienza che non avevo mai provato e trasmette un po’ di inquietudine, anche perché il fiordo non è come passare un fiume cittadino. Ci ricongiungiamo con la ‘cara’ Ring Road, lambendo la periferia di Reykjavik.

La nostra meta odierna è la penisola di Reykjanes, l’estrema punta sud occidentale d’Islanda. Prendiamo confidenza con la strada che domani mattina dovremo fare dall’hotel fino all’aeroporto, ma è impossibile perdersi perché non ci sono alture che confondano la visuale. Il nostro alloggio è proprio a Keflavik, la cittadina che nacque a ridosso della vecchia base militare americana, ora dismessa. Come ultimo giorno ho comunque individuato qualche spot che non dovrebbe deludere da quello che ho letto in giro. Prima fermata la faglia che divide il continente americano da quello europeo; lungo la 425 in direzione sud una piccola deviazione ci porta ad un ponticello, assai turistico, che evidenzia la frattura. Onestamente tra tutte le cose viste in Islanda mi sembra forse la location meno interessante, anche perché la frattura non è un profondo canyon, ma un piccolo letto di fiume asciutto. Riprendiamo la marcia in direzione sud e all’altezza della grande centrale geotermale deviamo verso un grande campo lavico. La strada è il solito sentiero minato, ma dopo un giorno di asfalto mi mancava un poco. Qualche tornante ed ecco il vecchio e solitario faro di Reykjanesviti; lo superiamo e raggiungiamo la bellissima scogliera che col pessimo tempo di oggi sembra enfatizzare la sua drammaticità. Enormi rocce affiorano dal mare, le onde infrangendosi fanno sembrare gli scogli alla stregua di enormi denti. Il nero delle rocce s’intona perfettamente al grigio plumbeo del cielo, una palette che sembra fatta apposta per il luogo. I fumi geotermali che arrivano a raffiche dalla vicina centrale avvolgono le strane formazioni rocciose della scogliera, sembra un avamposto degli inferi, delizioso. Pochi minuti di strada dissestata e raggiungiamo il campo di Gunnuhver, un luogo che ricorda Namafjall. In un piccolo fazzoletto di terra alcune caldere ribollono nervosamente, schizzando la materia fusa fino a pochi metri dalle passerelle. Per capire quanto il luogo è instabile basta osservare come una grande passerella in metallo giaccia verticalmente dentro un infernale cratere. La puzza di zolfo è inaudita, con bocche fumanti che si aprono ovunque. Adoro questi paesaggi e la penisola di Reykjanes devo ammettere che racchiude in modo più soft un po’ della drammaticità di alcune località che si possono incontrare in un grande giro dell’Islanda. Per fortuna di turisti in questa parte dell’isola non ce ne sono tanti, quindi si può apprezzare il panorama in totale esclusività.

L’ultima fermata del nostro viaggio dovrebbe anche essere la più apprezzata dalla mia paziente compagna di viaggio, i bagni geotermali di Blue Lagoon. All’altezza di Grindavik, deviamo in direzione nord fino ad imbatterci in alti camini di lucente acciaio che sbuffano creando un panorama da film fantasy. La struttura, eletta da anni come una delle più rinomate e migliori al mondo è organizzatissima; minibus che rastrellano i turisti smarriti nei parcheggi, negozi colmi di carissimi trattamenti da ripetere nella propria vasca di casa, ristoranti e ogni cosa che possa generare utilità per gli ospiti. Il tempo di lavarci e di costumarci e via nella grande piscina naturale; a dire il vero sembra di navigare in un mare dove i vapori e il silicio sul volto degli ospiti fa sembrare il tutto come un azzurrato girone dantesco. Saune in grotte, docce termali, questo è il non plus ultra delle spa. Peccato che io non sia proprio un tifoso di questo genere di turismo, ma a fine viaggio ci può stare. Ho apprezzato maggiormente per la sua genuinità la piscina geotermale sul lago Myvatn, dove la temperatura esterna era rigida, con i suoi paesaggi circostanti da fiaba; qui è un po’ più artificiale, ma anche la mole di turisti è immensa. Un pomeriggio di relax. Mi adagio vicino ad alcune rocce bollenti e provo a ripensare a quanto abbiamo visto, alle emozioni, alla fatica di affrontare in alcuni momenti condizioni climatiche non proprio ferragostane. L’Islanda è un viaggio che per un amante della natura è un must, il vero anello di congiunzione tra i paesaggi del southwest americano e gli scenari primordiali africani. Lo rifarei come viaggio? Anche domani, magari noleggiando un 4x4 ed evitando la ring road per dedicarmi solamente al cuore solitario dell’isola; oppure ci tornerei per pochi giorni nel buio inverno, speranzoso di ammirare le aurore boreali, uno dei fenomeni naturali che credo lasci basito. Ma ora chiudo gli occhi e voglio godermi il calore della terra che come un abbraccio naturale sembra ringraziarmi per aver visitato questa suggestiva isola.

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Blue Lagoon, Iceland
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Gunnuhver, Iceland
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