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Petrified Forest and Painted Desert National Park, Arizona - USA
United States of America flag Arizona | USA

Route 66
Painted Desert and
Petrified Forest

 
Latitude - 35° 03' 04'' N
Longitude - 109° 48' 19'' W
 
"if you ever plan to motor west
travel my way
the highway that's the best
get your kicks on route 66"
nat king cole
   
september 2006

route 66, la mother road

soundtrack: Take me home Country Roads, John Denver - 1971
 

Chapter

C’era una volta l’America: la nazione delle giardinette rivestite in legno; dei pattinatori di strada con i calzettoni al ginocchio e i polsini bianchi; delle vetture che ballonzolavano ad ogni piccola buca; delle ultime novità elettroniche o delle scarpe da ginnastica Nike introvabili in Italia; dei grattacieli avveniristici e delle infinite follie americane. Non ero nemmeno maggiorenne quando sul finire degli anni ’80 ebbi la fortuna di vedere tutto questo in prima persona, rimanendo ogni volta stregato da queste metropoli fuori dal comune. Gli anni sono passati e mi accorgo di come l’America da “telefilm” sia stata lentamente esportata in ogni angolo del globo e al tempo stesso gli Stati Uniti si siamo molto europeizzati. Il mondo si è davvero uniformato, velocizzato e troppo rimpicciolito; è senza dubbio la fine di un’era, il classico cambio di pagina nel libro di storia. Ma tra tanti miti svaniti uno ancora resiste più forte che mai: il truck americano. Imponente, massiccio, tutto cromato, dalle marmitte che corrono sull’abitacolo fino ai copri cerchioni a specchio. Sembra che per loro il tempo sia una variabile del tutto relativa.

Legato in modo indissolubile al track americano, esiste un altro mito immortale, la Route 66; è stata fagocitata dalle più svariate highway, ma il suo fascino è sempre intatto. La strada madre (“mother road”) che congiunge Chicago e Los Angeles, attraversando in diagonale metà Stati Uniti, rappresenta un ideale di libertà. Io mi limito in questi due giorni a percorrere i 600 km che corrono tra Albuquerque, nel New Mexico, e Flagstaff, in Arizona; un’inezia rispetto alla dimensione totale della Route 66, ma senza dubbio tra le miglia più sceniche di tutte. Sembra un viaggio nella storia dell’America, tra piccoli pueblo indiani e cittadine quasi fantasma; tra le alte pareti di roccia rossa che sembrano rendere onnipresente la Monument Valley e tramonti infuocati. Lo dico senza mezzi termini, è un’emozione unica essere qui. Già all’altezza di Grants sarebbe da uscire per visitare Acoma Pueblo, o dietro Cibola National Forest il Zuni Pueblo; ma davvero il tempo è poco e in serata vorrei ammirare il calar del sole al Painted Desert. All’altezza di Thoreau ci sarebbe un’altra bella deviazione lungo la ex Route 666, la strada del diavolo, fino al Chaco Culture National Historical Park - uno dei pueblo nativi meglio conservati di tutto il southwest.

Decidiamo di fare una sosta per il pranzo in un altro pezzo di storia della Ruote 66, nella piccola ma trafficata Gallup. In definitiva si parla di un km di case arroccate lungo la vecchia “strada madre”, a poche decine di metri dall’highway I-40. Credevo di trovare qualcosa di più caratteristico, ma invece ci sono solo dei negozi di souvenirs con qualche tavola calda e tante autorimesse; sinceramente non so proprio cosa mai la mia testa malata avrebbe potuto trovare qui, però fa tanto far west e questo mi fa impazzire. Ripartiamo a stomaco pieno, ancora poco più di un’ora e dovremmo essere al Petrified Forest and Painted Desert National Park; intanto ci godiamo il paesaggio delle mese Hopi che affiorano sulla nostra destra. E pensare che qualche settimana fa mi lanciavo in questo lungo itinerario, ho già la nostalgia e nono sono ancora rientrato: un caso senza speranza. Raggiungiamo l’exit per il parco; siamo in perfetto orario anche perché beneficiamo di un’ora supplementare grazie al fuso tra Arizona e New Mexico. Ci proiettiamo verso l’entrata nord, anche se le guide consigliano di partire da quella sud e di ripercorrere tutto il parco in senso contrario [la strada interna, la Petrified Road, è lunga circa 45 km].

Una breve fermata al Visitor Center per comprare qualche altro bel libro sui parchi americani – anche se non oso immaginare il sovrapprezzo per l’extra peso del mio bagaglio – e ci accorgiamo subito che l’orario di chiusura è alle 18; ma questo significa che alle 18 bisogna essere già fuori. Non abbiamo molto tempo, ci toccherà selezionare i punti di stop interni. Solo pochi minuti di guida e una serie di vistapoint ci catapultano sul Painted Desert (o come lo chiamano, il Deserto Pintado); al tramonto è assolutamente emozionante. Una distesa infinita di piccole badlands argillose, appena puntellate da un tenue verde della vegetazione, si accendono di un rosso porpora sotto i raggi obliqui del sole. Non c’è nessuno, siamo solo noi e il vento serale che crea dei piccoli mulinelli con la terra rossa; da questa vasta mesa il silenzio è assordante, meraviglioso. Tra i tanti vistapoint, il Kachina è quello che per me offre il panorama più bello e pieno; sempre da questo punto è inoltre possibile addentrarsi in alcuni percorsi verso le gobbe del deserto pintado, ma il caldo anche alla sera è notevole. Sorpassato il Lacey Point la strada prosegue senza grossi punti di fermata per svariate miglia; in pratica si abbandona il Painted Desert e si accede alla Petrified Forest. Tra le due zone ci sono un paio di punti di fermata legati ad antiche rovine di pueblo risalenti al 1300; uno di questi, il Newspaper Rock, può essere saltato se si ha poco tempo, dato che è proibito avvicinarsi quanto basta per vedere i petroglifi.

L’area meridionale del parco è occupata dagli antichi resti pietrificati di una foresta preistorica; a dire il vero ci sono solo resti di tronchi disseminati ai bordi della scenic drive. L’istituzione del National Park avvenne appunto per tutelare questi fossili e fermare il loro saccheggio quotidiano da parte di turisti o curiosi. E’ abbastanza diffuso il controllo in zaini o vetture da parte dei ranger, col giusto fine di tutelare il patrimonio naturale ed artistico del parco. Tornando al percorso, indubbiamente la parte più bella della Petrified resta Blue Mesa; un percorso a piedi di un miglio, fatto di sali scendi, ci porta in mezzo a delle colline di argilla simili a quelle del deserto pintado. Ma i colori tendono meravigliosamente al blu, al grigio e al marrone mentre il tramonto crea delle miscele di tonalità al limite dell’irreale; il sole basso proietta dei coni d’ombra sulle colline più basse facendo sfumare i colori più accesi. Lungo il percorso si possono osservare tronchi fossili anche di notevoli dimensioni; ma la parte più bella è questo immenso altipiano a cavallo della Route 66, attraversato da queste badlands color blu a sud e rosso porpora a nord. Sicuramente se si ama la fotografia qui di materia prima se ne trova a iosa; il tramonto rende tutto il paesaggio quasi magico, con il cielo sempre più scuro e la luna che sorge da dietro le colline. Peccato che la Jeep del ranger ci avverta che è ora di dirigersi verso l’uscita meridionale.

Passiamo veloci altri punti che sarebbero stati molto interessanti da visitare come Agata Bridge, Crystal Forest e Long Logs, ma abbiamo goduto di un tramonto talmente bello a Painted Desert e a Blue Mesa che possiamo ritenerci più che soddisfatti. E poi la giornata è stata mostruosamente lunga: siamo partiti da Santa Fe, mi sono lanciato a Tent Rock National Monument, abbiamo percorso buona parte della Route 66 e infine questo parco. Il calar del sole nel sudovest è un momento al limite del mistico; una sottile banda rossa all’orizzonte separa in modo netto il nero del terreno e il blu profondo del cielo, mentre la Luna fa capolino in cielo assieme alle stelle che così brillanti non le ho mai viste. Sono tre settimane che mi vedo questo spettacolo e non sono ancora riuscito a stancarmi; il bello riempie sempre. Mezzora di auto e giungiamo finalmente al nostro hotel ad Holbrook, un paesino talmente piccolo che se non si frena per tempo la si supera. Per fortuna la camera era già riservata, altrimenti saremmo rimasti in macchina a dormire; il nostro Best Western espone un eloquente “full” all’ingresso e di scelte alternative non ce ne sono in zona. Dal terrazzo della camera, impietosamente assisto – come succede spesso anche a Kayenta – al pellegrinaggio degli “on the road men”, classico esempio di turista molto ottimista che però bivaccherà la notte in auto.

Scegliamo di mangiare qualcosa di veloce al supermarket in fronte al nostro lodge; i general store americani, non smetterò mai di dirlo, sono davvero il luogo dove non è mai noioso passarci un’ora. Ma la giornata sembra non terminare mai; senza nemmeno saperlo scopriamo che l’albergo è a poche decine di metri dalla storica ferrovia dove transitano i treni che tagliano il sudovest in due. Trascorriamo quindi la notte cullati dal passaggio delle possenti locomotrici e “allietati” dal loro fischio; fosse successo a casa non avrei dormito, ma qui dà quel tocco di genuinità al fantasma della mitica Route 66. Il risveglio è traumatico, almeno per me, visto che manca una sola notte al rientro. La giornata non dovrebbe offrire troppi spunti, purtroppo destinata a ripercorrere a ritroso il tragitto verso Phoenix. Ma al mattino ho inserito un giro a Meteor Crater, un’attrazione naturale poche miglia ad est di Flagstaff. Una piccola strada che devia dalla I-40 ci porta al visitor center ai piedi di questa pseudo collina. In realtà siamo sul crinale di un enorme cratere probabilmente causato dall’impatto di un meteorite; un breve trail ci porta lungo la sponda del cratere dove alcuni potenti binocoli mirano il punto di impatto originale. Curioso è pensare che questa location sia stata utilizzata per anni dalla NASA nell’intento di preparare gli astronauti al suolo lunare. Per il resto nulla di più, anche perché se non si affitta un piccolo aereo non è possibile percepire più di tanto la fisionomia e l’immensità del Meteor Crater.

Un’escursione molto easy, perfetta per non sovraccaricare l’ultimo giorno di viaggio; anche se avrei preferito qualcosa di più impegnativo, giusto per togliermi tutte le voglie residue – che sono ancora molte, per la cronaca. Interessante è il museo interattivo all’interno del complesso, che spiega gli effetti di un impatto di corpi celesti sul nostro pianeta; inquietante. Nel frattempo un bel corpo nuvoloso si sta velocemente avvicinando da ovest, mentre il sole comincia a sparire; sarà il caso di levare le tende, non vorrei fare da bersaglio a qualche fulmine. In men che non si dica prende vita un vero e proprio diluvio universale, il primo di tutto questo lungo viaggio. Doppiamo Flagstaff dove ci fermiamo a fare una sosta in un mega Wall Mart, giusto per comprare le ultime cose per il rientro.Imbocchiamo la I-17 che ci porterà a Phoenix, costeggiando Sedona; è una lenta e malinconica marcia verso il volo di ritorno. In lontananza le saette, sia per luminosità che per fragore, ricordano quelle inquietanti del film “La guerra dei mondi”. Tre settimane di puro spettacolo, di emozioni profonde, diappassionante avventura, di rilassante solitudine e di silenzi assordanti, mentre la radio mi propone un “country road” di John Denver che sembra sussurrarci un arrivederci anziché un addio.

  giottoGiotto

 

   
   
 
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Painted Desert, Arizona - United States of America
Painted Desert, Arizona - USA
Painted Desert, Arizona - United States of America
Painted Desert, Arizona - USA
Petrified Forest - Blue Mesa, Arizona - United States of America
Petrified Forest - Blue Mesa, Arizona - USA
Petrified Forest - Blue Mesa, Arizona - United States of America
Petrified Forest - Blue Mesa, Arizona - USA
Petrified Forest - Blue Mesa, Arizona - United States of America
Petrified Forest - Blue Mesa, Arizona - USA
Petrified Forest - Blue Mesa, Arizona - United States of America
Petrified Forest - Blue Mesa, Arizona - USA
Route 66 - Holbrook, Arizona - United States of America
Route 66 - Holbrook, Arizona - USA
Grand Canyon North Rim, Arizona - United States of America
Grand Canyon North Rim, Arizona - USA
Route 66 storm, Arizona - United States of America
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